Ad un certo punto, un sacco di anni fa, Roma e Cartagine si fecero una guerra che noi, oggi, definiremmo "evitabile". Alcuni decenni dopo, quando la guerra non aveva ancora finito di angosciare gli animi e pochi riuscivano a scommettere sul suo esito finale, un greco, uno che aveva studiato, un "professorone", ma costretto a vivere a Roma, iniziò a raccontarla.
Polibio si era reso conto, infatti, di essere nel bel mezzo di un fatto epocale. Da una scaramuccia per un fazzoletto di terra si era passati a una guerra violenta dal cui esito dipendevano le vite di molti…di tutti. E lui, almeno, aveva il dovere di scriverne.
Proprio a metà della prima guerra punica Roma aveva la vittoria a portata di mano. Con una mossa geniale e al contempo audace era sbarcata a sorpresa in Africa, in territorio nemico, perchè, come con gli animali, non basta difendersi: è necessario colpire il nido direttamente se si vuole scongiurare la minaccia. Ma, forse più saggiamente di come avviene da qualche parte oggi, le rappresaglie dei romani non erano molto di più di qualche "toccata e fuga"; i saccheggi e le distruzioni nel territorio nemico dovevano portare alla negoziazione, non alla conquista. Una sorta di "punzecchiamento" per arrivare a una soluzione. Ovviamente a loro vataggio.
Ed è qui che, come nei film, entra in scena un Santippo qualunque, un mercenario spartano nell’esercito cartaginese che, per qualche soldo, ti capovolge le sorti della guerra. Un genio, o, meglio, l’unico sveglio in un paese di tardoni demoralizzati.
In una sola battaglia un numero esorbitante di romani vengono accerchiati, colpiti, schiacciati dagli elefanti, inseguiti, sterminati o fatti prigionieri (tra questi anche quel pallone gonfiato di Attilio Regolo, comandante romano). Sconfitti in un giorno gli "imbattibili", le certezze romane erano crollate di colpo e il sogno di una conclusione a breve della guerra si allontanava inesorabilmente…si prospettavano anni terribili.
[Prima guerra mondiale…Vietnam…ecc…]
Il vecchio "professorone" era colpito, sbalordito…tanto da dover scrivere una sua riflessione, qualcosa che arrivasse noi perchè era assurdo dimenticare:
"Un solo uomo e una sola mente, infatti, annientarono truppe che sembravano efficaci e imbattibili e riportarono in condizioni migliori un stato visibilmente a terra e il morale abbattuto delle truppe.
Ho ricordato queste cose per fornire uno strumento di correzione ai lettori dell’opera storica.
Se si considera, infatti, che esistono per tutti gli uomini due modi di cambiare in meglio- mettendo a frutto le proprie sventure e quelle altrui-, il cambiamento dovuto ai rovesci personali risulta più visibile, quello dovuto ai rovesci altrui più innoquo."
In altre parole: se un uomo vive una disavventura personalmente impara facilmente dagli errori che ha commesso…molto più difficile è per l’uomo imparare dagli errori degli altri senza averne fatto esperienza. E questo Polibio, che scemo non era, lo sapeva.
Io, molto banalmente, mi chiedo: E’ questo che continuerà a fare l’uomo in eterno? In eterno sperimentare quello che è già stato vissuto da altri?
Perchè se non capita a noi è come se non fosse mai capitato?
Ne cambierebbero di cose se cominciassimo a leggere i libri di storia come leggiamo un diario o un romanzo…se potessimo identificarci con chi ci è passato e dire: è come se fosse capitato a me, forse (e dico forse) si farebbero passi avanti.
Fare la stessa cosa con quello che raccontano i nonni, gli immigrati, i notiziari.
Smettere di relativizzare tutto e tutti…non concentrarsi sulle differenze (pur importanti) ma sulle analogie tra le guerre di ieri e quelle di oggi, tra l’uomo di ieri e di oggi.
Non concedersi dei brutti bis…
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